Motociclista da 40 anni e tour leader di gruppi in moto da 20, nel 2012 io e la mia GS 1200, siamo salpate dal porto di Palermo per iniziare insieme un viaggio che ci ha portato fino a Ulan Bataar, capitale della Mongolia: 13.000 km percorsi in un mese.
A Torino ho incontrato Davide, da sempre compagno di avventura sulle due ruote e insieme abbiamo iniziato la nostra “virata” per attraversare l’Europa dell’Est.
Un motociclista considera la strada la vera meta di un viaggio che sulle due ruote non è più mero movimento, spostamento, diventa esplorazione e scoperta di territori sconosciuti.
Sali in sella e ti prepari ad attraversare boschi di abeti, pinete e querce e inebriata dall’intensità del loro profumo ti lascerai avvolgere dall’abbraccio dei loro rami secolari. Ma il viaggio è anche attraversamento di popoli, incontro con gente diversa da noi, con un diverso modo di vivere e pensare. Non dimenticherò mai lo scenario che si è aperto non appena abbiamo varcato il confine dell’Ucraina: un paesaggio d’altri tempi in cui sullo sfondo di un intreccio di valli si inseriva un minuscolo centro abitato, quasi deserto. L’atmosfera rarefatta, surreale, quasi avessimo iniziato un viaggio all’indietro, verso un tempo ormai lontano; un tempo in cui sembra debba succedere qualcosa che invece non succederà mai. E in questo tempo perduto esiste un solo piccolo market, che trasandato tradisce un ritmo lento e cadenzato, in cui biscotti e caramelle si vendono ancora sfusi, e nel quale è davvero poco lo spazio riservato all’imprevisto; i frigoriferi spenti, il pane ormai raffermo e i salumi asciutti svelavano senza vergogna la sorpresa della donna che con gentilezza ci ha accolto all’interno, impreparata dall’arrivo di un gruppo di motociclisti.
Per arrivare in Mongolia abbiamo attraversato la Russia, un paese ostile e inospitale in cui la burocrazia anti turista è solo un’appendice della ben più grave corruzione: i posti di blocco, dislocati a 3-4 chilometri l’uno dall’altro, sono tutti forniti di autovelox contraffatti, con un unico obiettivo, elevare multe ai turisti per infrazioni mai commesse. La Russia esige anche un ingente impegno alla guida: occorre grande concentrazione per arginare la pericolosità di questo asfalto percorso quasi unicamente dai TIR; il loro passaggio è impresso in modo indelebile in profondi canaloni che attentavano di continuo alla stabilità delle nostre moto.E dopo aver attraversato la siberia finalmente l’11 agosto abbiamo coronato il nostro sogno e varcando la frontiera Mongola abbiamo ricominciato dal km 0.
Una bufera di neve ci aspettava minacciosa a 2600 metri d’altezza. Qui dove le strade sono sentieri e lo sterrato è intervallato da roccia, ci ha accolto un soffice tappeto bianco di 20 cm che ha messo a dura prova la prontezza dei nostri riflessi, i nostri nervi e la solidità delle nostre moto; che sul morbido si sono adagiate, quasi affondate, implorando tutto il nostro impegno..
Ma il desiderio si trasforma in volontà e la volontà vince qualunque ostacolo ed è grazie a questa determinazione che abbiamo superato anche questo momento di pura adrenalina.
A ripagarci questa terra che supera ogni confine dell’immaginazione, questo paradiso che ti riporta indietro ad un tempo ormai perduto, una sorta di anno zero, troppo lontano per lasciar presagire l’evoluzione futura, dove tutto deve ancora cominciare…
La Mongolia è uno dei luoghi più affascinanti, incontaminati e primordiali di questo pianeta.
Lo avevo letto, me lo avevo raccontato, ingenuamente pensavo di essere preparata.
E invece stupore e meraviglia mi assalivano ad ogni angolo, perché è impossibile descrivere ciò che chiede semplicemente di essere vissuto.
Gli spazi sono sconfinati, a perdita d’occhio, l’orizzonte appare sempre infinito, chilometri e chilometri ti si stagliano davanti senza incontrare anima viva, finché, come per incanto, si intravedono in lontananza minuscoli villaggi.
A popolarli indigeni a cavallo quasi fossimo stati catapultati nel far west all’improvviso, almeno questa è la scenografia della mia esperienza. Perché il viaggio in moto è un viaggio personale, un’esplorazione intima di ciò che sei e di come ti mette in relazione con quello che vedi e incontri.
Ma è anche puro divertimento.
Misurarsi con queste strade, roteare sulla sabbia, passare allo sterrato e superare guadi in cui l’acqua arriva fin su alle ginocchia mi ha dato la sensazione di essere entrata nel parco giochi delle due ruote.
Un parco giochi per adulti, in cui a volte abbiamo affrontato prove estreme, cercando di adattare una moto nata per la strada ai percorsi tipici di una moto enduro, e ciononostante andare avanti, sempre, e conquistare, non solo questa terra meravigliosa, metro dopo metro, ma anche il soprannome di “Rambo”, con cui sono stata etichettata dai miei compagni di viaggio. Difficile descrivere la sensazione di benessere interiore, di pace, che mi ha regalato questa terra confinata in un mondo tanto lontano dal mio, in cui le giornate scorrono lente, dilatate, magari costeggiando il fiume katun che disegna il suo corso attraverso vallate colorate di rosso e verde, quasi fossero dipinte.
Dopo un pó ritrovarmi in un’ altra vallata, molto diversa dalle prime, che sembra essere il set di Jurassic Park, di colpo ripiombare in un deserto roccioso e sabbioso insieme e poi ancora steppa, rossa come il fuoco, rocciosa e adornata della vegetazione che ho sempre immaginato di trovare in Africa.
La sera dormivamo quasi sempre in una gher, la tipica tenda circolare ricoperta in feltro, dove vivono i pastori nomadi e le loro famiglie; e così siamo entrati a stretto contatto con i loro sorrisi, la loro accoglienza e disponibilità.
Ma capitava anche che una notte decidessimo di campeggiare in mezzo al nulla per godere in pieno di quel cielo, che da solo vale l’intero viaggio: così blu, così terso, così basso da poterlo quasi toccare.
Posso provare a raccontarvi il turbinio di emozioni che questi luoghi incantati riescono a scatenare, ma una volta qui percepireste in un istante quanto riduttive siano le descrizioni, per quanto doviziose.
La mongolia va vista, e non basta.
Va vissuta.
Di questo paese impari ad amare subito lo spazio vuoto. Il vuoto, in ogni suo aspetto, mantiene ancora oggi il ruolo di protagonista ed è in questo che si concretizza il vero miracolo di questa terra. Crollano i limiti di spazio e tempo, svaniscono i consueti parametri della vita cittadina: le strade trafficate, il senso di oppressione del cemento, gli spazi angusti delle case sono svaniti nel nulla. Esiste solo natura senza confini, senza riferimenti urbani, ma neanche umani. Pranzi in compagnia delle margherite che, disposte in un campo sterminato, danzano per te al suono del vento. Attraversi il rosso intenso delle vallate frastagliate da guglie, o il verde smeraldo delle praterie, respiri il profumo d’assenzio della steppa e i polmoni si aprono fino in fondo, come mai prima d’ora, e trattengono talmente a lungo la purezza di quest’aria, che per un attimo ti gira la testa.
E ti accorgi che il tempo non ti insegue più, non ne sei più schiavo, perché in fondo qui il tempo non ha motivo di esistere. La frenesia delle tue giornate, gli impegni che con fatica devi portare a termine, le scadenze che incombono, hanno lasciato il posto a un vuoto infinito che si riempie della tua libertà.
Libertà che si nutre dell’assenza di tutto il superfluo che ha dominato la tua vita fino a questo momento e che oggi lascia il campo all’essenza di ciò che sei, di quello che stai finalmente scoprendo di te, in quest’inconscia esplorazione di sentieri interiori segreti.
Il senso della vita ti appare meno urgente, perché forse l’hai trovato senza cercarlo, proprio lí, su quel manto di ghiaia rossa che ha reso tanto impegnativa la guida della tua moto.
O nello stupore che questi popoli tradiscono nell’incontrarti, tanto da cedere alla seduzione delle foto e all’istinto di seguirti.
E anche nei loro silenzi riesci a sentire la poesia. La forza e la determinazione di chi, pur essendo sempre solo, non soffre mai di solitudine.
Seguendo le onde dei tuoi pensieri arrivi al tramonto, lo aspetti in riva al fiume e continui a ripeterti: che pregiata opera d’arte la natura!